«Mamma, e cosa dovremmo, cosa possiamo fare con Arturo? »
Carlotta era pallida, i palmi delle mani sulle guance e intanto scuoteva tristemente la testa, avvilita. Non si era mai davvero ripresa da un fidanzamento andato a monte a causa del tradimento del suo fidanzato, la cui freddezza, da lei giustificata come una forma di rispetto nei suoi confronti, era in realtà dovuta all’innamoramento verso un’avvenente ventenne, una certa Paola, rapporto osteggiato dalla famiglia di lui per la scarsezza economica della ragazza.
Carlotta era un buon partito, non più giovanissima ma con una notevole dote in denaro e agrumeti, portata a sua volta in dote da sua madre Carmela.
Quando Carlotta venne a sapere da terze persone dell’esistenza di Paola e non prima d’averlo costretto a confessare, cacciò via Pietro. Ma da allora non aveva voluto più saperne di nessun altro, temendo il ripetersi della storia e il suo carattere, fortemente introverso, di certo non l’aveva aiutata. Da quando era accaduto il “fattaccio”, si era chiusa totalmente al mondo, sostituendo i graziosi abiti con scialbi completi e raccogliendo i capelli chiari in una stretta crocchia. Non frequentava sporadicamente che qualche cugina avendo ormai perso completamente la fiducia in ogni essere umano.
Viveva con sua madre, donna autorevole e di gran rispetto, e con suo fratello nella grande casa di famiglia. Arturo era un bel ragazzone, nei colori simile a sua sorella: occhi chiari e capelli biondi, alto e robusto come la buonanima di suo padre Calogero. Adesso dormiva tranquillo, ma ancora una volta lei e sua madre erano sobbalzate dal letto nel cuore della notte.
Ormai erano quasi due settimane che Arturo ogni notte iniziava a urlare come lo stessero scannando. Madre e figlia correvano, precipitandosi dalla stanza che condividevano da quando la buonanima di Calogero Giuffrè, marito di donna Carmela, era asceso a miglior vita.
«Da quando “ quella” è arrivata, povero figlio mio, da quando è arrivata quella smorfiosa, Arturo non sta bene…»
Asciugò gli occhi e soffiò rumorosamente il naso.
«Mamma, lui la mattina non ricorda niente. S’alza come nulla fosse dicendo che siamo due isteriche e che abbiamo preso male la sua fidanzata Ada. E se chiedessimo consiglio a Zia Alfonsina? Magari lei ci può aiutare! »
«È vero! Zia Alfonsina ci vuole! Domani andiamo da lei.
Il sole era alto e il caldo davvero tanto quando madre e figlia s’infilarono nell’utilitaria di famiglia per andare da Zia Alfonsina, che abitava in un paese lì vicino da quando cinquant’anni prima s’era sposata.
Avevano lasciato un bigliettino sul tavolo della cucina per Arturo, che come tutti i giorni, era andato ad aprire il suo negozio di cornici in una zona del centro storico della loro città.
“Siamo andate a trovare Zia Alfonsina. C’è il timballo di riso pronto. Mangia, noi pranziamo da lei. “
La casa di Zia Alfonsina si trovava all’ingresso del paese e per accedervi bisognava percorrere una breve stradina in salita. Zia Alfonsina udì il rumore di un’automobile e s’affacciò al balcone. Era una donna sorridente e benvoluta da tutti per il suo buon carattere e per la disponibilità verso il prossimo.
«Carmela…Carlotta ! »
Contenta di rivedere sorella e nipote s’avvicinò al citofono per aprire il portoncino.
«Carmela mia, che bello vedervi! »
«Alfonsina, ci devi aiutare. Siamo in un mare di guai! »
«Che succede? Salite, Madonna mia Santa! »
S’abbracciarono e baciarono come erano solite fare, quindi si sedettero intorno al grande tavolo del soggiorno.
«Arturo… Una cosa impressionante.! Carlotta , racconta tu!»
«Zia Alfonsina, siamo assai spaventate. Due settimane fa Arturo ci ha detto che dovevamo andare a conoscere una ragazza di cui si è innamorato, una certa Ada. Ah, ci fosse ancora papà! Abbiamo chiesto…Ma chi è? Ma dove l’hai conosciuta? Che fa? Insomma, tutte quelle cose normali che si chiedono in simili casi. Lui ci ha detto che è figlia unica, che lavora nella camiceria col padre e che la vuole sposare presto. L’aveva conosciuta accompagnando un amico a fare una prova di una camicia. »
« Ma come presto? – Carmela continuò il racconto – Ma se l’hai conosciuta da pochi giorni… »
«Sì, mamma, presto! Domani sistematevi bene e andiamo da loro. »
« Inutile cercare di farlo ragionare, Alfonsina mia! Ma non la conosci, frequentatevi prima per un po’, prima d’ufficializzare la cosa. Urlava “Siete gelose! E tu, Carlotta, fissata con quelli che vogliono sposarci per i soldi! Da quando si è sfasciato il tuo fidanzamento con Pietro sei diventata una brutta zitella acida!” Cercammo di farlo ragionare. Conoscila prima qualche mese, ma lui, no! Irremovibile! Insomma il giorno seguente siamo andati. Pensa che lui aveva già comprato a nostra insaputa un brillante come dono di fidanzamento. Erano contenti, loro. E certo! Un figlio bello come Arturo nostro, con un bel negozio avviato. I sacrifici che ha fatto Calogero mio per portare avanti quell’attività! Quella…non ci pi -a -ce. Ha gli occhi furbi e lui la guarda con la faccia da scemo. »
« Carmela…Ma a voi deve piacere? Lui se la deve sposare! Non è che per caso tu e Carlotta siete gelose davvero? Da quando la buonanima di Calogero non c’è più gli state sopra in un modo…»
«Ma che gelose? Non sai che succede… »
«E che succede? »
«La notte si scatena un putiferio. Arturo urla nel letto, s’agita, poi quando io e Carlotta corriamo lui grida:- Andate via!!- Noi usciamo spaventate dalla sua stanza. Lui si gira dall’altra parte e…dorme! Il giorno dopo non ricorda nulla e dice che noi siamo squilibrate e che vivere io, senza il mio caro Calogero – e si fece il segno di croce inviando un bacio al defunto – e sua sorella zitella ci ha fatto diventare isteriche. »
«Ma tutte le notti succede? »
«Tutte le notti! »
«Strano. Molto strano. Mica gli hanno fatto una fattura per incastrarlo e fargliela sposare? »
« Alfonsina mia…Questo è il pensiero nostro. L’angoscia! »
«Sai che facciamo? Andiamo da Rosalinda Scarlato e vediamo che dice. Ha aggiustato tante cose. È brava assai. »
Andò in camera a cambiarsi e in pochi minuti fu pronta. Viveva col marito che però a quell’ora era in campagna e non sarebbe tornato che all’imbrunire perché stava facendo potare gli ulivi.
Le tre donne s’avviarono a piedi verso la piazza della Chiesa Madre. Imboccarono un vicolo e bussarono alla vetrina di una casa a piano terra.
Aprì una donna sulla cinquantina. Ben vestita, un lungo abito di lino scuro e uno scialle con rose rosse e lunghe frange di seta annodata graziosamente che non impediva la vista generosa di un seno prosperoso. I lunghi capelli scuri le incorniciavano il viso dai lineamenti bellissimi. Gli occhi, neri e penetranti,rivelavano un temperamento passionale e sembravano leggerti dentro,incutevano soggezione, delineati da un lungo tratto di matita nera. Come ornamento indossava una collana di corallo rosso (alla cui estremità pendevano un ciuffetto di piccoli corni), due orecchini, anche questi di corallo rosso e una lunga collana d’oro con una medaglia con l’immagine della Madonna con Gesù Bambino. Al polso una pesante catena d’oro da cui pendevano, tintinnando altri piccoli corni, ferri di cavallo e altre diavolerie. In paese era conosciuta e anche da molti temuta. Si diceva avesse dei poteri straordinari. Nessuno sapeva molto di lei, tranne che era arrivata lì una decina d’anni prima da un paese in provincia di Caltanissetta. Aveva affittato quella piccola casa a pianoterra ed esercitava, senza dare scandalo alcuno, la professione di cartomante. Intorno a lei giravano strane storie. Dicevano levasse le fatture.
L’ambiente era in penombra, le ante di legno dell’uscio accostate e un odore d’incensi aleggiava per l’aria.
Fece accomodare le donne, piuttosto intimorite, su un salotto damascato a grandi fiori e con espressione rassicurante e sorridente chiese il motivo della visita. Le donne le raccontarono ciò che accadeva a Arturo. Lei, dopo che le ebbe ascoltate scrutandole con grande attenzione,si pronunciò.
«I segni sono chiari. Non può essere una coincidenza ciò che accade al giovane. Gli hanno fatto una fattura d’amore. Ma a volte qualcosa va storto e il “fatturato” oppone resistenza quando è in stato d’incoscienza, nel caso specifico quando dorme. »
«Oh, Dio mio!Una fattura! Figlio mio! ». Carmela scoppiò in lacrime e a questo punto intervenne Carlotta .
«Ma come le mettono, così si tolgono, non è vero? »
«Certo che si tolgono. Ma bisogna saperlo fare e costa. »
«Quanto costa? » « chiese zia Alfonsina.
« Dipende. Ma tranquille, ci mettiamo d’accordo. La cosa importante è guarire Arturo. »
«Sì sì…Paghiamo, paghiamo…Ma levi questa fattura a mio figlio. È pericolosa, vero? »
«Pericolosissima! Potrebbe deperire sino ad annullare la sua volontà e la donna ne farà ciò che vuole!«
«Oh Madonna mia!Aiutaci tu! »
«State calme. Farete tutto ciò che vi dico alla lettera. E mute! Nessuno deve sapere. »
Allungò le mani verso le tre donne che poggiarono le loro sulle sue in segno di giuramento.
«Preparerò qualcosa d’inodore e insapore che dovrete fare bere a Arturo. È un antidoto. Si sono scambiati doni d’oro? Quell’oro è ormai magnetizzato negativamente.»
«Magnetizzato? E che vuol dire? – chiese Carlotta – Quando lui le ha portato l’anello lei gli ha regalato una collana. »
«L’oro ha assorbito la negatività della fattura. Va eliminato. Assolutamente. Poi vi dirò. Tornate domani mattina verso le 10. Vi darò le istruzioni per la pozione. Solo che… »
«Che? » « dissero le tre donne quasi in coro.
«Costerebbe 2000 euro. »
«Va bene, va bene! » « esclamò Carmela mentre la sorella e la figlia assentivano entrambe con un piccolo cenno del capo.
Le due sorelle e la nipote tornarono a casa. Alfonsina insistette affinché mangiassero qualcosa. Era calato un silenzio quasi religioso tra loro. Poche parole e molti sospiri.
«E che possiamo fare? » « si ripetevano l’un l’altra.
Carmela e Carlotta abbracciarono forte zia Alfonsina e s’avviarono verso casa. Sarebbero tornate l’indomani mattina.
Quella notte Arturo di nuovo smaniò, ma le due donne resistettero all’impeto d’alzarsi e recitarono accorate un rosario chiedendo l’intercessione della Madonna per quel povero figliolo.
S’addormentarono che era già sorto il sole.
Finalmente arrivò l’ora stabilita. Prima d’avviarsi verso il paese della maga, si erano recate alla Posta per ritirare il compenso da versare come pagamento per la pozione di Rosalinda.
Alle 10, puntualissime, madre e figlia bussarono alla porta di Rosalinda.
«Sono gocce incolori e insapori. Versatene dieci nel caffè del mattino e 10 nell’acqua della sera. Per sette giorni. Non fate caso se Arturo continua, l’effetto si potrà vedere dopo i 7 giorni e soltanto quando all’ottavo avremmo eliminato gli oggetti d’oro impuri.»
«E come facciamo?« »
«Dovete togliergli la collana. Non sarà difficile levargliela mentre dorme. »
«E poi? » – chiese Carmela.
«Dovete lasciarla in chiesa. Li lasciate nell’acquasantiera con l’acqua benedetta al lato della fonte battesimale della Chiesa di Santa Maria Liberatrice della vostra città, dopo l’ultima messa della sera, quando tutti sono già usciti. Dovete essere le ultime. Il prete chiuderà la chiesa e non se ne accorgerà. Dopo una notte nell’acqua benedetta qualcuno di certo la troverà. Ma sarà ormai innocua per tutti tranne che per voi.»
Erano trascorsi quattro giorni da quando l’ignaro Arturo aveva iniziato a ingerire le gocce, che gli venivano aggiunte nel consueto caffè del mattino e nelle pietanze serali da Carmela. Quest’ultima aveva conservato la miracolosa pozione nel fondo dell’armadio della camera da letto e dopo averle versate di corsa per non essere scoperta, nascondeva rapidamente la preziosa bottiglietta nella tasca della giacca di cotone, che indossava quotidianamente, a prescindere dal caldo della giornata.
Era arrivato giovedì e Arturo come al solito si svegliò al suono della sveglia. S’alzò sbagliando e con non poca fatica s’avviò verso il bagno per le operazioni di routine quotidiana. Dopo aver lavato il viso si guardò nello specchio e le mani che reggevano l’asciugano rimasero a mezz’aria quando s’accorse che la collana d’oro era sparita. Tornò di corsa in camera sua e cominciò a rovistare freneticamente tra le lenzuola finché chiamò ad alta voce madre e sorella.
«La collana di Ada! Avete visto la mia collana?»
Le donne finsero meraviglia.
«La collana? -disse Carmela – Non è che l’hai persa in giro? Magari non chiudeva bene.»
Intanto Carlotta fingeva di cercarla sotto il letto.
«Cercala in negozio, magari l’hai persa lì.»
Arturo era furioso ma bisognava aprire il negozio e dopo quasi un’ora di urla ed esclamazioni non troppo edificanti, andò via.
«Si deve trovare. Si deve trovare! »
Le due donne, rimaste sole, tirarono un sospiro di sollievo. Non erano abituate a mentire, ma la posta in gioco era troppo alta.
All’ora di pranzo Arturo era ancora più furioso.
«Niente, svanita nel nulla! Ho frugato dappertutto. Sparita! E adesso chi glielo dice a Ada? »
«Hiiiii…e che ci possiamo fare? Abbiamo rivoltato casa, io e mamma. » – disse Carlotta.
Carmela a questo punto intervenne.
«Non dirle niente per qualche giorno che magari si trova. Se ti chiede dille che la devi fare aggiustare. Ecco, dille che ti sei accorto che non chiudeva bene. Se poi non la troviamo, vedremo .»
Di pessimo umore Arturo tornò a lavorare.
Carmela e Carlotta aspettarono che arrivassero le sette per recarsi all’ultima messa della Chiesa di Santa Maria Liberatrice. Ascoltarono la messa e pregarono per la salvezza di Arturo. Alla fine, dopo la benedizione, rimasero sedute per fare defluire la gente. Quando ormai erano rimaste solo loro due, si alzarono e mentre Carlotta s’assicurava che nessuno guardasse, Carmela gettò la collana che teneva in borsa nell’acquasantiera accanto alla fonte battesimale, come suggerito dalla maga Rosalinda. Il portone della chiesa venne chiuso alle loro spalle.
Arturo era nervosissimo. Questa storia della collana scomparsa misteriosamente non gli piaceva affatto. La giornata era stata comunque proficua, anche se molto faticosa. Aveva commissioni per molte cornici di privati e gli era arrivato anche un ordine di restauro di cornici antiche dalla biblioteca civica. Suo padre gli aveva tramandato l’arte d’intagliatore e doratore, era uno dei pochi restauratori di cornici antiche rimasti in città.
Mentre era immerso nel suo malumore entrò Giovanni, suo amico d’infanzia e insegnante di lettere in una scuola media della città. Era grazie a lui che aveva conosciuto Ada, accompagnando il suo amico prima dell’orario d’apertura pomeridiana nella sartoria del futuro suocero. Giovanni doveva provare una camicia che si stava facendo confezionare su misura per il matrimonio di suo fratello che si sarebbe sposato a breve.
L’espressione di Giovanni non prometteva niente di buono.
«Giovanni, ciao. Che cosa ti è capitato? Oggi sto proprio nero anch’io. »
«Arturo… Arturo…Parla prima tu, poi ti dico. »
«Non trovo più la collana che mi ha regalato Ada. Svanita! L’ho cercata ovunque, a casa, in negozio. Niente. Volatilizzata! »
Giovanni gli acchiappò un braccio e lo guardò con uno sguardo stranissimo.
«Segno del destino. »
«Che cavolo dici? Segno del destino? Ma chi glielo dice? »
«Arturo, tu lo sai che ti voglio bene, vero? »
«Giovanni, ma che c’entra ora questo discorso? E certo che ci vogliamo bene, ci conosciamo da quando eravamo piccoli. Siamo cresciuti insieme! »
«Arturo, devo dirti una cosa. Devo. Non posso stare zitto e farti rovinare la vita. »
Arturo, che sino a quel momento aveva continuato a lucidare una cornice, si fermò di colpo.
« Giovanni, di cosa stai parlando? »
Giovanni girò intorno al bancone e si sedette con aria da cane bastonato.
«Ada. Tu hai visto oggi Ada? »
«No, ieri sera quando l’ho accompagnata a casa le ho detto che oggi era una giornata frenetica, che avrei aperto prima del solito e che ho scadenze da rispettare. Le ho detto che ci saremmo visti oggi, dopo la chiusura. Anche loro sono indaffaratissimi con tutti i matrimoni di questo mese. Ma scusa, che c’entra Ada? »
«Oggi sono andato nel suo negozio e ho visto una cosa che non avrei dovuto vedere che riguarda Ada. »
«Giovanni, che cavolo dici? E suo padre dov’era? » – gridò Arturo.
«Ma che ne so dov’era suo padre? Ero passato per scegliere una cravatta da abbinare alla camicia che è quasi pronta. La porta del negozio era aperta. Sono entrato e non vedendo nessuno ho aspettato e poi… Ho sentito. Ma come te lo dico che cosa ho sentito? Ho girato gli occhi e ho visto un riflesso nello specchio lungo, quello sul muro, di fronte al camerino. La porta era socchiusa. Basta. Non farmi dire altro, ti prego!»
«Eh, no caro mio! Adesso tu parli e mi racconti che hai visto! »
«Lui era seduto su una sedia e lei…insomma…hai capito. Non stavano proprio misurando camicie… »
Arturo era sconvolto.
«Chi è lui, lo conosci? L’hai riconosciuto? »
«Che importanza ha, scusa? Lei sarebbe la – tua- fidanzata. Oppure no? »
«Dimmi chi è! Dimmelo! »
«Era Giuseppe, il fioraio che ha il chiosco all’angolo. Ma io sono uscito subito e sono entrato nel bar di fronte. Non si sono accorti, penso, che fosse entrato qualcuno e comunque sono andato via di corsa. Però l’ho visto uscire, dopo un poco, andare via verso il suo chiosco. »
Arturo s’afflosciò tramortito sulla sedia a fianco a Giovanni. Il fioraio del chiosco! Ada lo tradiva col fioraio del chiosco!
«Giovanni, giura! Giura sulla nostra amicizia che non lo dirai a nessuno! Quella donnaccia…svergognata…e vuole prendere il mio nome, il nome onorato della mia famiglia! E magari ricevere e sollazzarsi mentre io tranquillo lavoro dalla mattina alla sera per procurarle i suoi lussi! E certo, hanno trovato il pollo da spennare. Lei e quel miserabile! Giura, giura che non ne farai parola a nessuno! La parte del cornuto, eh, no, quella non la faccio!Avevano ragione mia madre e mia sorella! E pensare che ho pure offeso Carlotta, quando le ho urlato contro che non sono tutti come il suo ex fidanzato che se la voleva sposare per i soldi e intanto aveva un’altra! »
«Giuro, Arturo, giuro ma non ti fare infinocchiare. L’ho vista con i miei occhi! »
La serata d’ottobre era tiepida come sempre dalle loro parti. Quando Arturo arrivò Ada aveva appena chiuso la saracinesca del suo negozio. Arturo la baciò frettolosamente su una guancia e s’avviarono a piedi verso casa di Ada, a pochi isolati di distanza.
«Com’è andata la giornata, Ada? E tuo padre? »
«Papà oggi non è venuto. Stanotte ha avuto una colica, forse ha mangiato qualcosa che gli ha fatto male. Sono stata da sola. C’è un sacco di lavoro da consegnare, la prossima settimana. »
« Sarai stanchissima, allora… »
«Arturo, ma che hai? Mi sembri così scontroso stasera… »
«Scontroso? Ma no. Avete tanto lavoro, quindi tutto va bene, no? E dimmi, come stava la camicia a Giuseppe? Era la prima prova? Soddisfatto? »
Ada era ammutolita.
«Ma come hai potuto? Un amico ha visto tutto! Tanta la foga da farlo con il negozio aperto! Chiunque avrebbe potuto vedervi! E io che credevo che mi amassi. Io che volevo sposarti, avevo fiducia in te! Hai trovato lo scemo, eh? E certo, tu avresti fatto la signora, la signora Giuffrè (povero padre mio!) e io il marito cornuto. Dimmi, come vi eravate organizzati? Sarebbe venuto dopo avermi visto aprire il mio negozio, un salto ogni tanto per rinvigorirsi quando tuo padre non c’è? E visto che tuo padre dopo il nostro matrimonio si sarebbe presa una sarta per aiutarlo, il “tuo” Giuseppe avrebbe aspettato che sollevassi la saracinesca del mio negozio per tuffarsi nel nostro letto? Signore Iddio! Avevano ragione quelle sante donne di mia madre e di mia sorella che non ti volevano! »
«Quelle maledette streghe! Tua madre con la puzza sotto il naso e quella zitella racchia di tua sorella! »
«Come ti permetti, sgualdrina da quattro soldi, d’offendere mia madre e mia sorella? La nostra è una famiglia onorata e rispettata da tutti, la tua semmai non sappiamo da dove viene! Ti consiglio di dire a tuo padre che ci siamo lasciati perché non sei più sicura dei tuoi sentimenti, tanto per evitare di dovergli dire chi sia sua figlia. Non voglio più neanche sentirti nominare. Sgualdrina! »
E la lasciò così, senza neanche voltarsi più.
Il dolore gli levava il respiro, ma la rabbia per il tradimento era persino più forte della delusione per un sogno infranto. Era bella, Ada. Era bella e traditrice.
Iniziò a pensare a quanto fosse stato stupido a non essere prudente, a non avere dato ascolto a madre e sorella che in fondo volevano solo proteggerlo da un passo avventato.
“ Giovanni non parlerà. Mi fido di lui. E lei starà zitta, se non vuole che la svergogni agli occhi di tutti. Sì, farò così! ”
Al suo rientro disse che era molto stanco. Non avrebbe potuto affrontarle quella sera e andò subito a letto, adducendo un gran peso alla testa. In fondo, non mentì troppo.
Il giorno seguente era domenica e dopo una notte insonne, si recò in cucina per prendere un caffè.
«Mamma, Carlotta, vi devo parlare. »
Le due donne, un poco preoccupate, si sedettero di fronte a lui.
« Ho lasciato Ada, ieri sera. Ci ho ripensato, mi sembra troppo frivola e viziata. Ho riflettuto, voglio ascoltare il vostro consiglio. Il matrimonio è una cosa seria e mi sembra immatura. E poi,avete ragione. La conosco poco e più andavo avanti, più dubbi mi venivano. Carlotta, scusami se ti ho offesa, ricordandoti il dolore per quella storia con Pietro. Lui è stato un vigliacco, un mascalzone. Sono molto dispiaciuto. »
Le due donne si guardarono e solo loro potevano sapere cosa stessero pensando entrambe. Aveva funzionato! Il filtro aveva funzionato! L’aveva lasciata!
«Alfonsina, scendi! Andiamo a fare quella cosa! »
Le due sorelle, sotto braccio e la nipote, qualche passo più indietro, bussarono alla porta della maga. Quando lei aprì tutte contente l’abbracciarono. Rosalinda le fece accomodare.
«Signora Rosalinda, noi non sappiamo come ringraziarla. Mio figlio l’ha lasciata.
E non ha avuto più quel disturbo. Dorme sereno tutta la notte. Triste, è un poco triste. Ma penso che gli passerà. »
«Ma certo che gli passerà. Dategli qualche giorno di tempo e tutto tornerà a posto. »
Rosalinda Scarlato rispose a Carmela, a Carlotta e a zia Alfonsina con voce rassicurante e atteggiamento di chi ha compiuto una gran bella azione nei confronti del prossimo. Si salutarono e le abbracciò calorosamente.
«Se avete ancora bisogno di me, io sono qui. »
« Grazie, grazie! Una santa, siete, una santa! Dal cielo vi arrivarono quei poteri!»
Le donne uscirono compiaciute mentre Rosalinda restò sulla soglia salutandole con la mano. Appena furono scomparsa dalla sua vista rientrò in casa,chiudendo l’uscio. Andò in camera da letto, aprì un portagioie e ne tirò fuori la lunga e pesante collana di Arturo. Chissà quanto le avrebbero dato per quella, al prossimo viaggio per andare a trovare sua sorella, a Caltanissetta.
E così alla fine furono tutti contenti: Carmela, Carlotta e zia Alfonsina per la buona riuscita dell’antidoto, Arturo per essersi salvato da un matrimonio con una traditrice e avere salvato l’onore, Giovanni per avere salvato l’amico, e soprattutto “Rosalia Scarlato, maga e chiromante, per servirvi” .
E Ada? Be’, si consolò presto. Si sposò con un rappresentante di tessuti che viaggiava molto per lavoro e spesso restava sola per giorni e giorni.
Continuarono a piacerle sempre tanto, ma proprio tanto i fiori.
Inedito di Emma Di Stefano