Il silenzio è colmo di senso. […] Il silenzio è una formica /
Affannata a cogliere ogni seme.
La silloge inizia così, con una dichiarazione di poetica, ed in
particolare con l’esplicitazione, da parte dell’Autrice, dell’origine intima e profonda del proprio poetare. La parola, ci dice, nel senso di parola poetica, nasce quindi dall’ascolto paziente e modesto e dall’osservazione incessante e spesso straniata delle cose.
Fin dalla lirica iniziale, la quale dà il titolo alla raccolta, Emma Di Stefano rende perciò chiaro il patto con il lettore: “Parlerò di ciò che ho visto e ho sentito – ci informa – di ciò che ha consistenza e che tuttavia, per la sua natura intima e sfuggente, va conquistato o ri-conquistato qualora si tratti di oggetti che l’abitudine priva di spessore e di senso.”
Il silenzio è denso. / Percezione d’anima e corpo […] orizzontalità e verticalità intersecate.
Le quasi cento liriche ci diranno quindi della vita interiore, dei
moti dell’anima, ma anche della concretezza del corpo, del suo
relazionarsi con lo spazio e con le cose che lo abitano.
Per introdurre velocemente alla raccolta – una raccolta ricca per
numero di testi e varietà di argomenti e capace, per immediatezza, nitore ed autorevolezza delle scelte espressive, di presentarsi da
sola – abbiamo scelto proprio la macropartizione esterno/interno,
pur nella consapevolezza dell’artificiosità ed aposteriorità di tale operazione.
È evidente che in un qualunque artista la percezione del mondo
è sempre interiorizzata e investita di senso, tuttavia ciò che qui colpisce è il grande rilievo che l’Autrice assegna alla rappresentazione dello spazio, al colloquio intimo con la realtà sia naturale che antropizzata. Ed ecco quindi il mare, la notte, le stazioni, le città che rendono determinata l’esperienza e conferiscono respiro
ed ariosità alla silloge, evitandole quell’angustia claustrofobica, quell’ossessivo e sterile ripiegamento dell’io che affligge tanta produzione contemporanea non solo lirica.
Il mondo esterno, i paesaggi, gli altri dunque esistono e chiedono
udienza all’io che li ascolta e, soprattutto, chiedono attenzione
allo sguardo non assuefatto:
Alberi, case, mare, cielo… / sfrecciano in direzione inversa. / Mai perde stupore lo sguardo / nel rapito osservare le correnti della vita.
Chiedono di diventare visione, quindi sogno, infine poesia.
Chiedono di essere salvati dal non essere della dimenticanza:
Appunti di sogni da ricopiare / dall’agenda del tempo, / poggiati
lì di corsa, con affanno, / ma mai persi nell’oblio. / Ascolto, la
tua voce. Mondo.
Ma anche l’io lirico si affida agli oggetti perché si facciano
emblema d’una condizione, d’uno stato d’animo, d’un sogno
forse troppo intimi per poter essere detti senza la mediazione
visiva, corporea e oggettivante dell’altro da sé .
Ecco come la Di Stefano esprime la speranza, il sogno d’una
nuova stagione:
[…] il sole d’aprile asciugherà muri ingrigiti / e guance bagnate. /
Nuove corolle esploderanno. / Più profumate che mai.
e ancora:
E un giorno magari il vento di scirocco / non ci farà correre al
riparo, / chiusi gli scuri e noi distesi, inchiodati / come cristi,
labbra socchiuse inaridite da sete. / Magari imparerà a non
sdrucire / candido lino sciorinato al sole, / lieve il respiro su
tenero grano, / petali non strapperà al profumato gelsomino.
Ed ecco in che modo rappresenta la potenza e la fugacità dell’amore:
Non esiste confine netto, limite estremo. / È lingua di mare a
leccare scoglio, / a lasciare indelebile profumato sapore.
o la vitalità che ha la meglio sul dolore:
Voglio ridere del vento / che arrotola panni stesi al sole, / della
pioggia che ruba il sorriso. / Voglio seguire la via del sereno, /
la luce di una stella in una notte senza luna […]
Se il silenzio, inteso non come vuoto bensì come pienezza e
riappropriazione di senso, consente una percezione stupita dello spazio esterno e degli oggetti, esso rimane a maggior ragione condizione imprescindibile dell’ascolto di sé e della ricomposizione poetica della propria interiorità.
Tuttavia, pur non mancando nella silloge testi in cui l’io lirico
prende direttamente la parola e si racconta, apprezzabile e felicemente riuscito risulta il procedimento di sciogliere la materia autobiografica in immagini di grande effetto poetico e visivo:
Perché in fondo sai, / è solo quello della rosa, / l’unico rosso
impresso. / Non il sangue delle spine.
O ancora:
Ti regalo un piccolo arcobaleno / avvolto in carta blu notte di
stelle. / E poi, a mani nude, / spalmiamo tutti i colori / a ricoprire
pareti grigie / inumidite dalla pioggia d’inverno.
Oppure:
Trecce di fragrante pane / ornate di sesamo colmeranno / grandi
cesti intrecciati a nastri di seta, / nell’attesa intonando un ritornello.
Come si può notare da questi brevi e frammentari esempi, il ricco
e complesso mondo sentimentale ed affettivo – abitato di volta in
volta da nostalgia, speranza, amore, dolore – viene reso attraverso immagini estremamente suggestive e di forte impatto sensoriale.
È in testi come questi, caratterizzati da una pregevole densità, che la poesia dell’Autrice raggiunge i risultati più felici ed intensi ed il lirismo, inteso nel senso proprio di voce dell’interiorità,
assume una dimensione meno autobiografica e più universale.
Come quando afferma le ragioni della vita contro l’immobilismo
delle certezze precostituite, i diritti dell’aria e della luce contro le angustie claustrofobiche, l’energia del disordine contro le
asfissianti e nevrotiche geometrie:
Immobile in un mondo di vetro, / Cristalli lucenti, aguzze stalattiti. /
Anche il più lieve soffio / può creparne le pareti, / frantumarle
in mille affilate schegge / e potrebbero ferire. A morte.
oppure:
Ma è lieve zefiro a portare la vita, / spacca un filo d’erba l’antica pietra, / o il freddo asfalto, esplodono i fiori, / a dispetto d’umano progetto.
e ancora:
Io non so fare le valigie. / Butto tutto lì ma non scordo mai niente.
Allora accade che il suo respiro, finalmente arioso anche in virtù
della parola poetica, diventa contagioso ed irresistibile soffio di libertà.
Adele Costanzo
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