Era primavera. Qui al sud, basta poco. Una giornata di sole e sembra quasi che l’estate sia alle porte. E guardava il mare.
Particolare, il suo rapporto con il mare. Gli aveva sempre parlato, raccontato di sé senza paura di annoiarlo. Discreto, lui. Ascolta. Non gliene frega niente di dimostrare la propria superiorità , non si sognava neanche lontanamente di suggerirle come avrebbe fatto al posto suo, in quel frangente.
Quello era il suo posto segreto, in cui si rifugiava da sempre. Ha sapore di salsedine e di bitte di porto.
Ci si potrebbe andare in compagnia, ma non con una persona a caso. Altrimenti, che senso avrebbe?
Comunque era lì, con quegli occhi forse ancora un po’ bambini e litigava con Dio perché non le sembrava giusto che ci avessero convinti che tanto dipende da noi, quando poi in fondo scegliamo così poco.
Praticamente la cosa più utile se non il male minore.
Per non parlare poi di ciò che scelgono gli altri anche per noi e che, entro certi limiti, è giusto rispettare.
Perché solo se fossimo isole potremmo avere la pretesa di decidere tutto ciò che ci riguarda a prescindere dagli altri. Gli altri esistono e noi per lorio, nel bene e nel male.
Invece siamo strettamente legati l’uno all’altro da fili spesso invisibili, ma a volte indissolubili e il corso della nostra vita è in continuo rimodellamento.
Non intendeva, con questo, scaricarsi dalle proprie responsabilità o appiopparle arbitrariamente agli altri.
Non intendeva neanche dichiarare che tutto fosse frutto di un progetto preesistente, del destino, cantato da poeti e oggetto di grandi disquisizioni filosofiche e letterarie, ma ciò che accade di certo non le sembrava somigliasse poi tanto a ciò che fu definito “libero arbitrio.” Nella vita davvero compiamo libere scelte?
E noi tutti qui, intanto, a vivere affannati, per cercare di capire cosa viva dentro e cosa fuori di noi.
Emma Di Stefano