« Buonasera, signora Ricci. Sono Luca Randazzo, il confinante con la sua proprietà ” Colle dei mandorli”. Vorrei farle una proposta d’acquisto per la casa e per l’intero terreno.»
« Buonasera, signor Randazzo. Ma scusi, chi le ha detto che quella proprietà è in vendita?»
« Nessuno, a dire il vero. Ma sono già un paio d’anni che la casa mi sembra disabitata e ho chiesto giù in paese. Al panificio Bonanno mi hanno detto che la nipote della vecchia proprietaria viveva a Roma. La signora Carmela mi ha dato il suo recapito telefonico. Mi scusi se ho disturbato ma ho acquistato proprio a fianco a lei. Adoro la campagna e mi piacerebbe acquistare anche questo terreno per ampliare la mia proprietà, oltre ad avere già notato che la vista da quel punto è molto più bella che da me.»
La signora Carmela…Ecco. Era lei che gli aveva passato il suo numero.
« A dire il vero non ho mai pensato di venderlo ma è anche vero che da quando mia nonna non c’è più non ho ancora avuto il coraggio di tornarci. Ma conto di farlo prestissimo. La saluto. Buonasera. »
L’uomo ricambiò cortesemente il saluto, aggiungendo che se ci avesse ripensato, sarebbe stato sempre disponibile a farle un’offerta vantaggiosa.
La nonna: Alice sorrise nel ricordarla. Era una donna dolce ma anche molto forte. Aveva cresciuto da sola la sua unica figlia, quando il nonno era morto all’improvviso, stroncato da un infarto.
Non era stato semplice e perciò dovette rivolgersi ai suoi due fratelli, per farsi aiutare.
Quella terra, fertilissima e favorita dallo splendido clima, produceva di tutto: agrumi e frutta d’ogni qualità, ogni prodotto dell’orto. Poi c’erano gli ulivi ma il grosso della coltivazione era quella dei mandorli. Ne producevano una grandissima quantità, tanto da venderle.
Nonna Concetta era comunque abbastanza competente, figlia lei stessa di un coltivatore diretto di campagne che venivano tramandate di padre in figlio da innumerevoli generazioni.
A nonna Concetta era toccata quella casa sulla collina e la terra circostante, chiamata “Colle dei mandorli” , proprio per la preponderanza di quegli alberi.
I nonni, sposini, avevano sistemato la casa (in realtà un vecchio edificio adibito a deposito e per conservare attrezzi) e ci erano andati a vivere lo stesso giorno del loro matrimonio.
A piano terra c’era un’enorme cucina con un lungo tavolo e una capiente credenza di legno, composta da una parte inferiore con sportelli e cassetti,e una superiore a vetrina in cui erano esposte suppellettili di fattura più pregevole. Un’altra grandissima dispensa a muro era invece destinata alle provviste e sullo stesso muro erano appesi pentole, mestoli e altri utensili come uso all’epoca del matrimonio della nonna, soprattutto nelle case in campagna. C’era anche un grande lavandino di pietra con rubinetti al muro.
Una porta introduceva in un bagno piuttosto spartano, dall’altra parte un salottino con una vetrina antica, un divano con due poltrone di quella stoffa a fiori pesante che si usava tanti anni fa. Una scala conduceva a due camere da letto grandi e una piccolina in cui dormiva lei da bambina.
Alice trascorreva lì tutto il periodo di ferie con i suoi genitori, ma sua madre Sara in realtà era piuttosto insofferente. Non solo non condivideva lo stesso amore dei suoi genitori per quella casa ma invidiava le altre bambine che vivevano in paese. In inverno le vedeva tutti i giorni a scuola, ma l’estate si recavano giù solo per le spese o per qualche visita a parenti.
Soprattutto dopo la morte precoce del padre, Sara si sentiva ancora più isolata.
Le cose andarono molto meglio quando prese la patente e con una piccola 500 fu libera di gironzolare e vedersi la sera con gli amici per qualche passeggiata.
Comunque le piaceva molto studiare e, conseguito il diploma di scuola superiore, partì per Roma. Si laureò in lettere e diventò docente per poi sposarsi, l’anno successivo, con un bel giovane romano conosciuto all’università. Poi era nata Alice. Intanto da Concetta era andata a vivere una sua sorella nubile, Alfonsina.
Gli anni comunque erano passati veloci, una vita senza grandi scossoni e infine la vecchia zia Alfonsina era stata portata nella sua casa in paese, accudita da una lontana cugina che si potesse prendere cura di lei, ormai troppo anziana per vivere sola.
Adesso, questa telefonata.
La vita in città era frenetica. Il tempo sembrava risucchiato da un enorme imbuto e anche i week«end erano da utilizzare spesso per commissioni d’ogni genere, insostenibili nei giorni feriali, e per rassettare la casa, un appartamento moderno e funzionale in un quartiere ben servito.
Si corre, si corre…
Che tempi!
Vendere Colle dei mandorli? Ma neanche per idea. Anzi, ci sarebbe tornata presto, ormai era fine giugno ed era arrivato il momento di riaprirla, quella casa.
« Alice, io lì non ci vengo. Tutta l’estate, poi! Ma che ci trovi di speciale? Sempre un mistero. Per te erano vacanze, per me era una vita che non ho amato. Ci dovevo stare, va bene. Finché c’era mamma che ogni volta per venire da noi qualche giorno so io quanto mi facesse sgolare…Pazienza… Ma adesso no!»
« Non essere noiosa, Sara. Falle fare quello che vuole, mica è una bambina! E tu, Alice, chiamami tutti i giorni, però, Promettimelo!»
Papà le strizzò l’occhio come era solito fare quando si trovava tra le due donne della sua vita che discutevano.
Sedute a un tavolino di un elegante bar in centro, sua madre scuoteva la testa e a lei veniva da ridere. Sempre la stessa storia che si ripeteva all’infinito.
« Ma sì, hai ben diritto a fare come ti pare, mamma. Comunque quest’anno passo l’estate lì. Se cambi idea puoi sempre raggiungermi!»
Era sempre bellissima, la sua mamma. Donna di città sino al midollo, amava passeggiare per i negozi, andare in giro con le amiche, frequentare cinema e teatro insieme a suo padre, uomo che in città si trovava da sempre nel suo habitat naturale.
Erano due bravi genitori, Impegnati nel lavoro sì, ma mai troppo da non dedicarsi alla loro unica figlia Alice. L’avevano tirata su con una certa severità, ma allo stesso tempo assecondando le sue naturali tendenze. Adesso si godevano la meritata pensione e avevano accettato, ormai parecchi anni prima, che Alice andasse a vivere da sola.
Li abbracciò e li lasciò lì a godersi la bella serata romana, seduti mano nella mano come sempre. Era stata fortunata, a nascere in quella famiglia.
II
L’autostrada si snodava tra paesaggi a lei noti sotto il cielo terso del primo giorno di vacanze. Man mano che le ore si succedevano, sentiva crescere sentimenti contrastanti: una sottile tristezza per non potere trovare la nonna, ma allo stesso tempo un piacere crescente al pensiero di poter rivedere luoghi tanto cari.
Finalmente imboccò la stradina in salita e arrivò davanti alla casa.
Scese e fu pervasa quasi da un’euforia nel superare la grande e pesante porta di legno massiccio dell’entrata. Un fascio di luce inondò la grande cucina e s’affrettò a spalancare i vetri e le persiane della grande finestra. Si diresse verso il contatore per attivare l’energia elettrica e imboccò la scala che conduceva alle camere del primo piano. Anche qui spalancò le finestre e s’affacciò a uno dei balconi, ammirando lo splendido panorama. Una distesa di verde e in fondo il blu del mare. Il riflesso del sole faceva apparire, in lontananza, le Eolie quasi come un miraggio. Dall’alto vedeva tutto il paese, così caratteristico, quella terra che si tuffava in mare tra distese d’ulivi e mandorli. Amava quei colori vivaci , i profumi intensi. La Bougainville che si arrampicava sul muro era un’esplosione di corolle e Alice si chiese come avesse resistito a una così lunga assenza di cure. Anche le aiuole erano colme di rossi gerani e le Belle di notte traboccavano di foglie e di fiori che si sarebbero schiusi al tramonto.
« Qui la natura è padrona, Alice. ». La nonna glielo ripeteva sempre soddisfatta.
Era a casa, finalmente.
III
Il mattino seguente, di buon’ora, il canto di un gallo lontano la fece sobbalzare. Si rassicurò, accade sempre che ci si debba abituare al cambio di abitudini. S’alzò di buon umore e contro le sue previsioni non avvertiva più l’assenza della nonna, tutt’altro. La sentiva presente, la rivedeva in ogni stanza, in ogni oggetto che era passato tra le sue mani. La casa era curatissima e accogliente. Pensò bene di dare una bella rinfrescata e s’avviò in auto in paese per acquistare detersivi e provviste. Il nucleo del paese non era affatto cambiato negli anni. Con grande piacere si fermò al forno Bonanni e la signora Carmela nel vederla, lasciò il bancone nonostante le persone in coda e corse ad abbracciarla.
« Alice, bedda mia!! Arrivasti, finalmente! A mamma… comu sta Sara? Vinisti a pigghiari u pani? »
« Tutto bene, Carmela! La mamma non so quando viene, ma io non mi muovo da qui sino a quando non riapriranno le scuole.»
« Ah…bene. Allora fammi sbrigari sti cristiani ca Peppina sula non ci pò!»
« Devo andare, dai. Ho da fare,tanto ormai sono qui.»
« Allora chistu è pi ttia, u niscivi ora ora ru furnu! Poi fecemu tuttu nu cuntu!»
Le consegnò una cartoccio da cui usciva un profumatissimo filone di pane.
« A domani,Carmé!»
Alice uscì ridendo. Carmela era sempre la stessa, con la sua solita cuffia sbilenca poggiata in testa e un grembiulone bianco che le arrivava ai polpacci. Chiacchierona, in un lampo tutti avrebbero saputo che lei era tornata in paese.
Prima di rientrare, passò dalla casa di Salvatore, il contadino che con i suoi figli, negli ultimi anni, si era dedicato alla coltivazioni di Colle dei mandorli. Lui l’accolse con calore e simpatia. Erano buoni padroni, pagavano puntualmente ciò che dovevano e lo trattavano con rispetto. Parlarono di ciò che sarebbe stato necessario fare per la campagna.
Al rientro andò nella camera della nonna e iniziò a sfaccendare. Mentre spolverava il piano di quella che lei chiamava “la toletta” sorrise, nel vedere i piccoli cassettini in cui erano sempre “nascoste”, si fa per dire, le caramelle al latte di cui era ghiotta da bambina. I suoi pensieri furono interrotti dalle urla di un uomo.
« Vieni, Ulisse no! No, esci di lì..»
S’affacciò dal balcone e vide un uomo di spalle dentro l’aiuola più grande e bella dinanzi casa, che cercava di tirare fuori un grande boxer dal pelo marrone chiaro, che abbaiava e sembrava inchiodato lì dentro come una statua.
Scese di corsa le scale e rivolgendosi all’uomo:
« Ma è impazzito? I fiori! Tiri fuori quel bestione dai miei fiori!»
L’uomo, in jeans e maglietta blu, si girò guardandola tra il mortificato e il divertito:
« Mannaggia a Ulisse! Mi scusi…mi scusi…è come un bambino…vuole giocare…Che figura…»
Lui la guardò con un paio d’occhi verdi da lasciarla senza fiato e con un largo sorriso stampato in faccia, forse d’occasione, per farsi perdonare.
« Carino, il fiocco. Mi ricorda Minnie. Eh,eh…»
In quel momento lei si passò una mano tra i capelli , imbarazzatissima.
« Faccia uscire quel “coso” dalla mia aiuola!»
Intanto il “coso”, cane del tutto indipendente di pensiero, con un unico balzo saltò fuori inaspettatamente dall’aiuola per piombare addosso a Alice che, indietreggiando spaventata, cadde per terra.
« Signorina, oddio…Ulisse! Ma che hai combinato?»
« Sparisca lei e il suo cane pazzo. Fuori da casa mia! »
L’uomo l’aiutò ad alzarsi.
« Tutto bene, signorina? »
« Se ne vada immediatamente!»
In quello stesso istante Ulisse acchiappò il fiocco tra i denti e scappò via mentre l’uomo gli correva dietro, inseguendolo.
“Non voglio muri qui, basta quella rete e quei paletti di legno tanto per delimitare un poco.”
« E va bene, nonna Concetta, ma questi sono i risultati!».
Alice si guardò. Era tutta sporca di terra umida per l’innaffiatura del giorno precedente, un impiastro come regalo del boxer. Alzando gli occhi al cielo rientrò per ripulirsi.
IV
« Signorina Alice! Signorina!”»
Alice uscì dalla porta d’ingresso che chiudeva solo la notte prima d’andare a dormire.
« Salvatore, buongiorno!»
« Signorina, mi scusi se disturbo ma le devo parlare di una cosa urgente assai.
I pirocchi! Truvai i pirocchi sovra a l’arvuli di mennule! Vinissi cu mmia….» *1
Alice lo seguì preoccupata.
« Eccoli! Avissi a taliari i fogghi. Sunnu tutti arrunchiati.» *2
Strappò la foglia da un albero e le fece vedere che l’insetto che aveva preso alloggio lì aveva già prodotto una sostanza appiccicosa.
« Salvatore, ma io non capisco niente di queste cose. Vedi cosa devi fare tu.»
« Io? Ci vuole uno di chiddi ca cura cu qualche miricina.» *3
« Ma ci sarà qualcuno in paese che se ne intende, no?»
« C’è uno novo ca passa pi bravu. Dicono che è dutturi. U chiamamu? Fici casa e putia cà vicinu.» *4
« Sì, dai, fallo venire appena può e vediamo cosa consiglia di fare. Ah, poveri mandorli!»
V
Una di quelle giornate che iniziano storte. Un vento di scirocco da doversi chiudere in casa in penombra.
« C’è nessuno? »
Seguì il suono gracchiante del vecchio campanello.
Svogliatamente si sollevò dal divano su cui stava sonnecchiando per vedere chi fosse.
« Un minuto!» « rispose cercando di sistemarsi alla meglio.
« Eccomi. Buonas…Oh. E lei che ci fa qui?»
« Piacere. Sono Luca Randazzo, agronomo. Il signor Salvatore mi ha detto che sui mandorli ci sono gli afidi verdi…insomma…i pirocchi, come dice lui.»
« Di nuovo lei! Ed è pure quel Randazzo che vuole casa mia! Non ci posso credere. E non c’è niente da ridere.»
L’uomo, per niente impressionato dalla reazione della reazione della donna, continuò:
« Signorina, ha bisogno di me si o no? Altrimenti avrei da lavorare.»
« Si accomodi.»
L’uomo entrò e si sedettero al tavolo della cucina.
« L’afide verde si stanzia sulla pagina inferiore della foglia, si nutre e produce la melata, una sostanza appiccicosa che impedisce una sintesi clorofilliana normale. L’albero deperisce, si compromettono i frutti e, nella peggiore delle ipotesi, secca.»
« E cosa si fa in questi casi? I mandorli della nonna…Dobbiamo fare tutto il possibile per guarirli.»
Luca rimase colpito dal tono accorato della donna.
« Ci tiene molto a questa terra? Per questo non voleva vendermela…»
Alice annuì avvilita.
« Possiamo usare un insetticida ammesso in agricoltura biologica a base di Azadiractina. Ha un principio attivo di origine naturale estratto dall’albero del neem. Agisce lentamente e a lungo, inibendo l’alimentazione degli insetti e i frutti a guscio trattati possono essere mangiati sette giorni dopo il trattamento. Di solito funziona.»
« Ok. Ha carta bianca. Un caffè?»
« Grazie, volentieri, signorina.»
« Mi chiamo Alice. E il suo cane pazzo?»
« Ulisse? Non lo porto mentre lavoro. Piuttosto “vivace”.»
Si salutarono. Alice era davvero molto preoccupata per i mandorli.
Intanto però il caldo era aumentato in quei giorni e decise di mettersi in costume per perdere il pallore della città. Aveva deciso di sistemare le sue cose nella camera della nonna. All’arrivo aveva svuotato le valigie utilizzando il vecchio armadio. Era uno di quegli armadi antichi di noce scuro ( le sembrava di ricordare fosse appartenuto alla mamma della bisnonna), di quelli la cui anta centrale era ricoperta da un grande specchio. In realtà cigolava forte mentre l’apriva tirando la maniglia d’ottone brunito. I costumi erano lì, sul ripiano sovrapposto ai cassetti. Scelse un due pezzi azzurro, ma si rese conto che l’indumento si doveva essere impigliato. Ma in cosa?
Vide che la bretella si era impigliata in quello che rivelò essere il quadro contenente una vecchia foto. Lo riconobbe subito.
Il vetro era rotto, probabilmente dove essere caduto forse mentre la nonna lo spolverava e riposto lì in attesa d’essere sistemato.
Era la foto in bianco e nero incorniciata che era sempre stato appesa in salotto e che riproduceva il nonno col braccio sulle spalle della nonna. Lei intanto teneva poggiate le mani sul ventre, che rivelava uno stato avanzato di gravidanza. Alle loro spalle c’era uno spettacolare mandorlo fiorito.
“Ci penso io, nonna, ci penso io. Li faremo guarire!”
VI
Il mattino seguente udì voci che provenivano dal retro della casa.
Si vestì di fretta e si trovò dinanzi a Salvatore e altri due giovani, che riconobbe essere i nipoti del vecchio mezzadro.
« Buongiorno signorina. Stamu pumpiannu cà miricina ca rissi u dutturi. » *5
« Bravo Salvatore e bravi pure voi!»
« Andrà tutto bene, Alice. In ogni caso se me la vuoi vendere, questa terra, me la compro io.»
Si girò di soprassalto e vide Luca.
« Ma la tua è una fissazione! Non vendo nulla. Verrai giustamente ricompensato per l’intervento, ma smettila con questa storia!»
Stizzita s’avvio per rientrare in casa giusto in tempo per vedere Ulisse spaparanzato nella solita aiuola.
« Ecco! Hanno ragione quelli che dicono che i cani somigliano ai padroni. Chiamati questo bestione, anzi accompagnalo da una Penelope che se lo tenga!»
Quell’uomo le dava ai nervi quasi quanto il suo cane e vederlo ridere fragorosamente altro non fece che aumentare il suo nervosismo.
E dire che era andata lì per rilassarsi!
Intanto Ulisse pensò bene di entrare in casa dietro a lei che piombò sul divano e se lo ritrovò con le zampe sulle sue spalle che la guardava con quegli enormi occhi neri.
« Ti detesto. »
Ulisse per tutta risposta la leccò sulla mano.
Non aveva neanche la forza di reagire.
Un fischio di Luca e Ulisse usci dalla casa con la stessa disinvoltura con cui era entrato.
Ci vollero diversi giorni per finire il trattamento. Adesso c’era solo da aspettare per vedere i risultati. Luca non si fece vedere. Le aveva inviato solo un messaggio sul cellulare in cui le chiedeva nuovamente scusa per l’intrusione di Ulisse.
Doveva rientrare qualche giorno a Roma per cui avvertì Salvatore di tenere sotto controllo la situazione.
Il suo rientro a Roma per tre giorni l’aveva spossata. Era molto stanca, quell’imprevisto non ci sarebbe proprio voluto. Arrivò di nuovo a Colle dei mandorli dopo un viaggio sconfortante, iniziato con uno spaventoso ingorgo sul Grande Raccordo Anulare. Moltissimi erano di partenza verso il sud e il traffico sull’autostrada, come al solito, notevolmente rallentato a causa d’eterni lavori. Era quasi il tramonto quando imboccò la stretta stradina che portava alla casa.
Aveva scaricato dall’auto un trolley che tirava faticosamente e svogliatamente.
Appena arrivò su rimase a bocca aperta. Nell’aiuola accanto al portoncino d’ingresso erano apparsi un albero di gelsomino e una enorme bouganville dai fiori rosa fucsia. A un ramo c’era appesa con un cordoncino una piccola busta.
“Non amo recidere fiori, sono nato per piantarli. Non ho mai visto una donna cocciuta come te, ma t’ammiro. Ce la faremo. I tuoi mandorli guariranno. Che confinante bellissima e terribile! Pazienza. Luca”
Era proprio matto!
La ragazza, compiaciuta, scoppiò a ridere. Intanto Ulisse, accompagnato questa volta da Luca, arrivò giocherellone più che mai e questa volta lo accarezzò allegra mentre lui, soddisfatto, le si accucciò ai piedi.
« Ecco…Ma tu che ci fai qui?»
« È venuto tutti i giorni a cercarti, lui…Veramente anch’io…»
« Grazie per il gelsomino e per il bouganville. Sono una meraviglia!»
Un’espressione soddisfatta e un sorriso smagliante le tolsero ogni dubbio, ammesso che ne avesse. Forse la sicurezza di Luca la irritava. Come se lui desse per scontata una facile conquista. Forse la stanchezza del viaggio fece la sua parte, ma la frase che le sfuggì non fu certo felice.
« Poi mi dirai quanto ti devo per il disturbo. »
« Credo che tu sappia d’essere davvero odiosa. Buonasera, signorina Ricci!»
Andò via velocemente e senza darle il tempo di rispondere, seguito da Ulisse.
Il mattino seguente s’alzò nervosissima. Aveva passato una gran brutta nottata insonne.
Mentre scendeva dalla scala che dal piano superiore portava in cucina con un completo da letto da lavare, inciampò in un lembo di un lenzuolo e poi il buio.
Quando aprì gli occhi si chiese da quanto tempo fosse lì, ai piedi della scala.
Doveva avere urtato la testa perché vedeva tutto girare vorticosamente e aveva un dolore alla spalla insopportabile. Comprese, nonostante la mente confusa, che doveva essersi fatta molto male.
Sicuramente svenne e la prima cosa che riuscì a percepire, non sapeva se dopo pochi minuti, fu il calore umido di qualcosa sulla mano destra. A fatica schiuse le palpebre e vide due grandi occhi neri. Ulisse le mostrava il suo affetto leccandole la mano.
« Ulisse…sei tu…»
Aveva lasciato il portone aperto, come sempre durante il giorno.
Il cane abbaiò ma lei non sentì più nulla. Era svenuta di nuovo.
VII
Comprese subito d’essere in ospedale, con un dolore atroce alla spalla e un grande mal di testa.
« Bentornata tra di noi, Alice!»
« Luca…che succede?»
« Ulisse è tornato a casa e non capivo che gli fosse capitato. Abbaiava come un pazzo, mi spingeva, mi ha fatto capire che voleva che lo seguissi. Eri distesa sul pavimento, svenuta. Ti ho chiamata, ma non rispondevi. Allora ho chiamato subito il 118. E adesso siamo qui.
Che spavento! Non so se potrò mai perdonarti. Ho rischiato un infarto!»
Si guardarono a lungo in silenzio e quando Luca le strinse forte la mano, fu in quel preciso istante che tutto fu chiaro per Alice. E semplice, perché le cose più importanti della vita non hanno bisogno né di tante parole né di tante spiegazioni. Semplicemente accadono.
Alice non volle che Luca avvertisse subito i suoi genitori ma gli promise che l’avrebbe fatto lei stessa, per non farli spaventare troppo.
Dopo un paio di giorni Luca la riportò a casa e rimase con lei sino al loro arrivo, poi tornò a casa sua..
« Ciao Luca. Ulisse! Ci sei anche tu!»
Ulisse cominciò la sua danza di gioia nel vederla, poi s’accucciò ai piedi della poltroncina in vimini su cui era seduta per sonnecchiare tranquillo.
« Ti senti di camminare un poco? Voglio farti vedere una cosa.»
« Certo, ma dovrai darmi il braccio. Non vorrei precipitare di nuovo.»
Si sentiva debole e a tratti il dolore della spalla, sebbene tenesse il braccio appeso al collo con un tutore, era ancora intenso.
I suoi erano giù in paese per fare la spesa. Pochi metri: Luca era raggiante.
« Alice, guarda! Gli afidi sono spariti!»
« Spariti? Mi stai dicendo che ha funzionato? »
« Da tutti i mandorli. Alice, da tutti! »
“Colle dei mandorli” era salvo.
« Tuttu bonu e biridittu.»*6, esclamò scuotendo la testa compiaciuto il vecchio, caro Salvatore che naturalmente loro non avevano visto arrivare alle loro spalle mentre s’abbracciavano.
Ulisse dormiva beato mentre lei, seduta sul divano, guardava sorridendo, appesa in bella vista in soggiorno, la foto dei nonni sotto il mandorlo fiorito.
« Mamma, mi racconti ancora di quando si erano ammalati i mandorli di nonna Concetta e papà li ha guariti e poi sei venuta a vivere per sempre qui insieme a lui?»
«Certo, Giulia, che te lo racconto. Ero a Roma, una sera, quando squillò il mio cellulare…»
NOTE
*1 «I pidocchi! Ho trovato i pidocchi sopra gli alberi di mandorle! Venga con me… »
*2 «Eccoli! Dovrebbe guardare le foglie. Sono tutte accartocciate»
*3 « Io? Ci vuole uno di quelli che cura con qualche medicina.» *
*4 « C’è uno nuovo che dicono sia bravo. Dicono che è dottore. Lo chiamiamo? Ha fatto casa e negozio qui vicino.» *
*5 « Buongiorno signorina. Stiamo innaffiando con la pompa, con la medicina che ci ha indicato il dottore. »
*6 « Tutto buono e benedetto.»
Racconto di Emma Di Stefano pubblicato sull’antologia 2017 “La bella d’erbe famiglia e d’animali” – Chipiùnéart Edizioni